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TIPO/TYPE: Schooner
ANNO/YEAR 1984
CANTIERE/BUILT BY: Zennaro – Venezia
DESIGNER: Sciarrelli
LUNG.f.t./LOA: mt 16,20 (oltre bompresso e buttafuori di poppa)
LARG./BEAM M.: mt 4,00
PESC./DRAFT: mt 1,80
BANDIERA/FLAG: Italiana
MAT.SCAFO/HULL MATERIAL: Acciaio / Steel
INTERNI / ACCOMODATION
CABINE/CABINS: 4
POSTI LETTO/BERTHS: 10
BAGNI/TOILET: 3
COL. SCAFO/HULL COLOR: Rosso / Red
MOTORE / MACHINERY
MARCA /BRAND: Volvo penta 125hp (1996)
CAPACITA’ SERBATOIO/FUEL TANK: 900 lt + 120lt per serbatoio di servizio
STRUMENTI/INSTRUMENTS
Ecoscandaglio (2005), centralina vento (2005) speedometro (2005), Gps Furono, Gps
Cartografico Navionic (2005), Vhf portatile e fisso, SSB, Epirb
ACCESSORI/ACCESSORIES
Inverter 1000W, dissalatore 125 lt/h, frigo congelatore, boiler, generatore 220V a 3,5kw,
doccia in pozzetto, autoclave, alloggiamento lavatrice, serbatoio acqua dolce 1000 lt
DOTAZIONI SICUREZZA/SAFETY EQUIPMENTS
Tre ancore, zattera autogonfiabile Eurovinil da 10 persone, dotazione ordinarie di sicurezza
NOTE /NOTES
Armata a schooner bermudiano, come il famoso schooner Nina del 1928 a cui è ispirata:
randa (marconi), vela di straglio, fischerman, trinchetta, fiocco su bompresso,. Altre vele
di corredo: fischerman grande e gennaker.
Facile da manovrare, quasi un cutter a due alberi; grande stabilità di rotta, movimenti
dolcissimi. Perfetta per crociere impegnative, anche con equipaggio ridotto. Perfetta per
vita in rada.
Lo stesso Sciarrelli nel suo libro “Lo Yacht”, Ed. Mursia (cap. XXX – Barche per viaggiare: 1981-1988, pp.421-425) descrive quest’imbarcazione un po’ particolare:
“Un tipo di barca che ho prodotto in questi anni e che mi viene richiesta è la barca economica in ferro per chi fa crociere charter (o dice a se stesso che le farà).
La barca economica è un tema moderno, nel senso che deve dare più cabine e bagni dentro. Più cabine e bagni di un 18 metri e che costi come un 14. Non che abbia 16 metri e che costi come un 16 metri, È in base a questo ragionamento che io piango sui tempi.
Lo yacht è la barca del gentiluomo, ma non costa di più della barca di un certo tipo di moderno povero. La povertà, che in questo caso coincide con la volgarità, sta nel fatto che, per la stessa cifra, il povero vuole una barca molto più grande, più brutta e mal costruita. C’è poco da fare, chi va in giro con una barca come l’Italia (cutter costruito da Craglietto nel 1981, ndr) di 13 metri e mezzo è un signore, chi va in giro con una barca francese, in acciaio a due spigoli, lunga 22 metri, è un pezzente.
Nella trappola insidiosissima, che se non si hanno i soldi per una barca bella ma costosa bisogna accontentarsi di una brutta ma economica, ci si cade non per povertà ma per volgarità perché, se è vero che uno yacht perfetto è di più di uno mal fatto, basta uscire dal campo degli yacht ed è sparito il problema.
Se proviamo a pensare ad una vera barca da lavoro tradizionale, per esempio ad un trabaccolo adriatico, ad una tartana o ad uno schooner dei piloti invelato giusto come è nato, abbiamo una visione di fascino e dì eleganza che mortifica e fa sparire qualsiasi motoscafone di lusso o motorsailer «Jongert» che si permette di ormeggiarglisi vicino. La barca tradizionale non ha lusso ma è di lusso; e perde tutto il suo lusso se viene costruita lussuosamente, cosi come lo perde lo yacht se è fatto poveramente.
C’è questa idea nell’invenzione del Grande Zot. Però è la seconda idea. La prima è rigorosamente tecnica. Una barca povera che deve pagarsi facendo charter. Quindi di ferro. Scafo, coperta, tughe. Tutto pesante. Le forme delle barche moderne sono pensate per i pesi moderni e se per risparmiare le faccio pesanti non faccio barche moderne, anche se gli metto una prora slanciata e pinna e timone separato. Una barca è la sua carena, cioè il suo peso, quindi il suo volume immerso e se ho la stessa lunghezza ma pesi diversi devo avere carene diverse.
Una barca in ferro non pesa come una barca in legno incollato o una di plastica. Guarda caso pesa come le barche antiche costruite in maniera massiccia tradizionale con l’ordinata doppia segata, fasciame interno e coperta di pino. I pesi del ferro di oggi. Per questo è molto più falso fare oggi una barca di ferro con la forma moderna delle barche leggere fuori dell’acqua, ma deformate sott’acqua per farci stare il maggior volume di carena che hanno, che farla con il tipo di forma che si è sempre fatto con quel peso, che è il peso antico.
È questa una cosa difficile da capire che merita un approfondimento. Il discorso va collegato alla formula del rapporto dislocamento/lunghezza. Quanto peserebbe se fosse lunga 100 al galleggiamento. Adesso per avere una barca leggera si costruisce leggero. A parità di lunghezza al galleggiamento, meno pesa una barca, più è favorevole il rapporto. Però la barca si rompe, perde il timone, le si stacca la pinna e sputa via l’albero. Succede tutti i giorni. Il sistema tradizionale era invece quello di proporzionare il galleggiamento a seconda del peso. Un rater di cent’anni fa pesava poco ed era slanciatissimo con galleggiamento corto, il cutter inglese era più pesante e aveva la prora a piombo fine e un galleggiamento più lungo. Il bastimento dell’epoca dei cannoni era pesantissimo e aveva un galleggiamento di un andamento più lungo dello stesso scafo, che appariva tronco e molto gonfio alle estremità o addirittura con l’opera morta in alto più corta del galleggiamento, come nel trabaccolo adriatico. Per chiarire meglio diciamo che se una barca di 20 metri pesava tanto che per essere buona con quel peso avrebbe dovuto essere lunga 25, la si faceva con le forme di una di 25 a cui erano stati segati via alle estremità 5 metri. Uno scafo giusto di 25 metri a cui ci manca un pezzo, non uno scafo di 20 metri con le forme sbagliate.
Queste sono le ragioni per cui in certi casi si dovrebbero fare scafi di taglio tradizionale. Se i dati con i quali si imposta la progettazione sono gli stessi degli antichi, vengono fuori le barche degli antichi. Non erano mica stupidi una volta i bravi, come non sono stupidi i bravi adesso. Se invece si sceglie l’aspetto tradizionale per la parte estetica e magari si realizza la barca con un taglio ricco e costoso il risultato che si ottiene per me ha un’unica definizione. Disneiano.
Il Grande Zot è stato costruito a Venezia molto rozzamente e il proprietario, l’amico Giancarlo Toso, ci vive con il charter.
Prima in Adriatico, poi in Sardegna e Grecia. Adesso è nella Martinica. Barca molto bella e veloce, ogni tanto mi arrivano notizie di questa imbarcazione di grande fascino e piena di ruggine che mortifica nelle rade gli yacht di lusso, di una regata con le barche dei francesi in cui arriva due ore prima del secondo e non trova la giuria perché nessuno supponeva che qualcuno arrivasse così presto. L’altr’anno, la laurea. Eric Tabarly, con la famiglia, charterista pagante e che rinnova la prenotazione per l’anno successivo.
Il lungo discorso sulle forme e sui pesi antichi l’ho fatto per chiarire che io non amo le gratuite ricostruzioni e repliche del passato. Amo le barche moderne, amo il cutter inglese perché era la barca moderna della sua epoca, la barca metrica ma negli anni Trenta e non nella Coppa America degli anni Ottanta, i RORC nell’immediato dopoguerra.”