SCHEDA IMBARCAZIONE
Anno di costruzione 1971
Progetto Laurent Giles
Armo Ketch
Materiale legno, impiegato per scafo e sovrastruttura
Lunghezza FT 22 m
Larghezza FT 5.12 m
Pescaggio 2.20 m
Motorizzazione Cummins (V 903 M) 320 hp
Consumo 23 l/h
Generatore EMI 80 mds 103
Strumenti elettronici Radar Furuno, GPS Geonav, Ecoscandaglio Brookes and Gatehouse , VHF sailor RT 4822, Pan Navigator MK II plus
Impianti e vari Batterie al gel
Serbatoio Acqua 2000l
Serbatoio Gasolio 2500l
Per maggiori informazioni rimandiamo al sito www.cadama.it
Il sito è dedicato al progetto di accessibilità del ketch bermudiano Cadamà (Cadimare in dialetto spezzino), un 22 metri classico di Laurent Giles varato nel 1971.
Da quest’estate Cadamà sarà disponibile per charter settimanali, crociere e week-end. Contattateci per ulteriori dettagli. Le vostre vacanze a bordo saranno il miglior aiuto per proseguire i lavori di accessibilità.
Aiutate un progetto filantropico e mecenatesco.
I grandi della vela : Giles, l’artista – Gian Marco Borea
Il più grande innovatore fra i progettisti di barche a vela della prima metà del nostro secolo. Certamente il più versatile, che univa ad un senso istintivo dell’equilibrio e dell’estetica eccezionali capacità tecniche.
La sua produzione è stata delle più varie, dalla barca da crociera, o da regata, al motoscafo, alla barca da lavoro. Tutto però conserva una “fisionomia” e un tocco personale inconfondibile, che al primo sguardo fa esclamare: “è un disegno di Laurent Giles”. Il nome “ Laurent”, pronunciato alla francese (ci teneva a dirlo), rilevava una lontana origine gallica.
Jack Laurent Giles era nato nel 1901, e aveva seguito studi d’ingegneria navale. Il giovane Jack decise molto presto, nel 1927, di mettersi in proprio, fondando lo studio “Laurent Giles & Partners”, con sede in una casetta in stile “Queen Anne”, al numero 4 di una stradina di Quay Hill a Lymington, in Inghilterra. Lo studio rimase, anche oltre il periodo del suo massimo prestigio, al medesimo indirizzo per ben 55 anni.
Per Jack Giles progettare non era solo una espressione di formule e di calcolo matematico, ma sopratutto di arte. Le sue barche univano alle eccezionali doti di efficenza, marinità e sicurezza, dovute alle sue profonde conoscenze e attitudini tecniche, un aspetto e un equilibrio estetico che le evidenziavano ancor più.
Anche nel periodo della sua più intensa collaborazione con il famoso skipper di regate d’altura, e progettista anch’egli, John Illingworth, in cui si dedicò alla progettazione di imbarcazioni estreme, disegnate per sfruttare al massimo le formule di stazza del RORC, le sue barche, che al primo apparire potevano essere sgradevoli all’occhio, tuttavia avevano un equilibrio di forma, alle quali ci si abituava rapidamente, essendo tanto evidente lo scopo per cui erano concepite: vincere le regate, sfruttando al massimo i punti favorevoli concessi dalle formule. Non cercò mai di camuffare queste barche per classiche: erano solo e ostentatamente “mostri da regata”. La loro bellezza era proprio derivata da questa esasperazione delle forme, funzionali a un tema preposto.
La sua genialità eclettica permetteva a Giles di disegnare, anche e contemporaneamente, scafi e armi estremamente classici, ispirati spesso a forme ormai desuete, perfino di barche da lavoro. Ma anche in questo caso, tutte le sue creazioni erano estremamente personali, era sempre evidente il tocco, quasi la pennellata, del grande artista; Dyarchy e Maid of Malham, di cui parleremo in seguito, pur nella loro concezione assolutamente antitetica, sono degli stessi anni.
Disegnò così anche bellissime barche con armi aurici, adattando opportunamente, con geniali semplificazioni, le moderne tecnologie. molti dettagli d’armamento e soluzioni d’avanguardia, portano la sua firma: per esempio le sartie volanti a leva, ora di uso generalizzato.
La collaborazione, cui abbiamo accennato, con Illingworth, che, oltre a notevoli capacità tecniche (era un ufficiale del Genio Navale e ingegnere della Royal Navy), portò Giles ad affrontare i problemi del raggiungimento della massima efficienza a tutte le andature di una barca a vela. Si andava delineando in quel periodo di grandi innovazioni, la soluzione del compromesso ideale, nella concezione dello yacht, atto ad affrontare il nuovo sport della regata oceanica.
Le diverse formule di stazza, in Europa il RORC e in America il CCA, avevano definito formule di stazza e handicap tese a far regatare insieme con una certa parità Yacht da crociera tra i più diversi. Con il tempo si delinearono imbarcazioni specificamente progettate, per ottenere il miglior compromesso per regatare in alto mare, cioè scafi resistenti ed adatti alla navigazione in altura, naturalmente il più velocemente possibile.
Nacque così negli anni trenta, contro la tendenza a far regatare con una certa parità barche da crociera, spesso derivate da scafi da lavoro, l’Ocean Racer, l’imbarcazione che era in grado di compiere lunghe traversate conservando caratteristiche da barca da regata. Queste, prima di allora, si svolgevano in acque abbastanza protette, su percorsi limitati e le barche da competizione non erano certo l’ideale per navigare in altura, essendo previste per la pura velocità, a scapito delle doti di tenuta del mare e della sicurezza di navigazione.
Per la soluzione del problema, per trovare un adeguato equilibrio e sfruttare quanto più possibilie le norme dei compensi, le soluzioni tecniche erano varie; con le tecnologie emergenti era possibile risparmiare sui pesi di costruzione e quindi sul dislocamento, con un notevole risparmio di dispersione di energia dovute agli attriti sulla superficie bagnata.
Da ciò iniziarono a vedersi progetti sempre più filanti e leggeri, specialmente nelle linee d’acqua di poppa, con l’eliminazione degli slanci. Questi, se aggiungevano lunghezza al galleggiamento, a barca sbandata, e nelle andature di poppa (è ben noto che la velocità massima critica è in funzione della lunghezza al galleggiamento), tuttavia portavano ad un aumento del peso dello scafo; Jack Giles disegnò barche come se avessero dovuto essere dotate di uno slancio notevole, dalle linee filanti, che venivano invece troncate quando queste raggiungevano una conveniente posizione rispetto alla linea di galleggimanto, così da ottenere, a barca sbandata, una lunghezza al galleggiamento più estesa, quanto avrebbe potuto eserlo con un normale slancio. A quel punto lo scafo terminava netto con un piccolo slancio verticale.
Esteticamente, senza gli aggraziati slanci degli scafi classici, con cavallini poco o per nulla pronunciati, per sfruttare un altro dato delle formule, che penalizzava il bordo libero basso (misurato a centro barca), queste barche erano veramente brutte all’occhio di chi era abituato alle linee eleganti ed equilibrate, per esempio gli yacht delle calssi metriche, che fino ad allora dominavano i campi da regita, e che avevano influito anche sugli yacht da crociera. Ma i primi risultati davano ragione alle nuove tendenze. Le barche di Giles, spesso con la timone John Illingworth, vincevano, anche con vento e mare forte.
Ma Jack Giles, pur rivoluzionando i canoni della progettazione, non eccedeva mai: le linee, pur sperimentali, erano sempre equilibrate e armoniose nella loro essenzialità. Ora che siamo arrivati ad una esasperazione di queste tendenze, portate addirittura agli scafi da crociera, scafi come il Maid of Malham o Mith of Malham, che Illingworth portò a innumerevoli vittorie, ci sembrano quasi belli; rappresentano un’epoca e i progressi tecnologici che hanno permesso reali innovazioni prolungate nel tempo, fino ad oggi.
Nel contempo, Giles e il suo studio progettavano yacht di tendenze completamente diverse. Bellissime imbarcazioni da crociera di linee classiche, o addirittura derivate da barche da lavoro, come fu per il caso dell’ormai celeberrimo Dyarchy.
La storia di questa potente e splendida imbarcazione è tipica dei problemi che i progettisti si trovano ad affrontare. Nel 1937, Roger Pinckney, un noto architetto e yachtman inglese, che aveva sempre navigato con sua moglie su un vecchio battello da pilota trasformato da crociera, ormai malandato, si rivolse a Giles per farsi progettare una nuova barca. Pinckney aveva sempre navigato con una vecchia barca tipica inglese armata a cutter aurico, completa di controranda. Erano solo in due a bordo, lui e la moglie, e la sua barca, in omaggio a questo comando a due, si chiamava Dyarchy. Amava ed era abituato a questo tipo di scafo e di armo. I marinai sono tendenzialmente abitudinari e conservatory. Pinckney desiderava un nuovo Dyarchy. Doveva essere come l’originale e amatissimo cutter su cui aveva tanto navigato per il Mar del Nord: marino, solido e abitabile con quel tanto in più di comfort e spazio che l’età avanzata rendeva necessario. Ma non doveva discostarsi dai canoni, sia estetici che di comportamento in mare cui era abituato.
Jack Giles affrontò il tema: tracciò le linee di base di quello che doveva divenire il suo cutter più famoso. Una rivisitazione del tema “battello da pesca”, “pilota di Bristol”, dalle linee ben più raffinate, pur conservando il notevole dislocamento, la poppa a specchio, il timone esterno, pochissimo slancio a prua, che con una dolce curva si fondeva armonicamente a una lunga e quasi rettilinea chiglia inclinata e zavorrata. Una barca dalle linee purissime, dalla prua alta, come quella dei battelli pilota e come certi cutter da pesca inglesi. Il notevole tonnellaggio e la costruzione solida tradizionale, dava interni spaziosi, ma con pochissime suddivisioni o cabine. Era concepita per due persone, e due persone vi potevano vivere nel comfort di uno yacht molto più grande. Era lunga fuori tutto 13.97 metri, larga 3.73 metri e dislocava 24 tonnellate e mezzo.
Il piano velico era, secondo i desideri di Pinckney, a cutter aurico, con un sistema per la controranda originale, inventato dallo stesso progettista: scorreva in una canaletta lungo l’albero, che era in un sol pezzo, senza alberetto e pertanto di più facile maneggio con un equipaggio di sole due persone.
Questo progetto ebbe un enorme successo; è menzionato in tutte le più importanti pubblicazioni sullo yachting ed è stato riprodotto, dal 1939 – da quando fu varato Dyarchy, da un cantiere in Svezia (tutto in quercia, fasciame compreso, e ponte in teak), in altri 5 esemplari: il primo, Dragonera nel 1955 in Spagna e l’ultimo a Loano, realizzato da un autocostruttore italiano nel 1991.
Ma Dyarchy non era certo il primo esempio di barca da corciera dall’aspetto tradizionale disegnata da Jack Giles. Già nel 1929 era stata varata la splendida Clymene, una delle sue prime realizzazioni, uno yawl di 26 tonnellate. Costruito dal cantiere “Newman & Son” di Poole, che in seguito costruì varie barche dello studio “Laurent Giles & Partners”.
Un altro celebre progetto venne realizzato dal cantiere “Moody & Sons” sull’Hamble River. Andrillot era un piccolo cutter aurico che divenne noto per una corciera di 23 giorni, in cui furono percorse 850 miglia e toccati 22 porti diversi. Andrillot era il suo quindicesimo progetto, la sua fama era già ben affermata.
Storico è stato l’incontro di Jack Giles con il grande navigatore e scrittore Eric Hiscock; questi racconta che un giorno, doveva essere il 1937, si aggirava per Lymington, quando fù attratto da un grazioso bow-window nel quale campeggiava un bellissimo modello di Yacht; era il numero 4 di Quay Hill. Eric aveva in mente di comprare una barca per compiere un giro del mondo con la moglie Susan. Nacque così una collaborazione e un’amicizia che doveva durare una vita.
Nel 1939 era nato il Wonderer II, un po più piccolo di Andrillot (24 invece di 25 piedi), ma era un po più invelata. In seguito Giles disegnò anche il Wonderer III, un pò più grande. Con queste due barche Eric e Susan Hishcock compirono molte lunghe navigazioni, e due giri del mondo di cui raccontarono le avventute in numeroso articoli, corrispondenze e libri.
Oltre a progettare yacht da crociera o da regata d’altomare, Giles si cimentò, verso la fine degli anni ‘30, nel disegno di imbarcazioni da pura regata, come i cutter e sloop delle classi metriche allora in gran voga sui campi da regata internazionali.
È suo il progetto del 12 m. S.I. Filca che venne realizzato nel cantiere Fife di Fairlie, in Scozia. Questa bellissima barca, che nelle linee di poppa ricorda un pò quelle del Maid of Malham, estremamente filanti allo slancio di poppa che termina con un piccolo specchio quasi verticale, non ebbe il tempo, prima dello scoppio della guerra di esprimere le sue potenzialità in regata, surclassato quasi sempre dal famoso Vim disegnato dal sempre più affermato Olin Stephens.
Lo scoppio della seconda Guerra Mondiale interrompeva l’attività dello yachting, e della sua progettazione. Giles collaborò in quei quattro anni bui, allo sforzo bellico, disegnando per la Royal Navy motovedette, MFV (pescherecci a motore utilizzati per servizi ausiliari), motoscafi silranti, e anche a un mini sommergibile.
Alla fine del conflitto, lo studio Laurent Giles & Partners Riaprì i battenti, e, sempre al numero 4 di Quay Hill, il bel modello di Yacht riapparve nel bow-window. Questo modello è ancora conservato nei nuovi e moderni locali, che attualmente sono la sede dello studio, simbolo della continuità nel nome del progettista.
Riprendeva l’attività fervida, fucina di fervidi ingegni animati dall’entusiasmo trascinante e innovatore di Giles. Come ben dice Carlo Sciarrelli nel suo fondamentale trattato (Lo Yacht, origine ed evoluzione del veliero da diporto) Giles è stato in assoluto il primo architetto moderno. Nei suoi progetti si trova sempre la forma di quelle cose che verranno. Molte barche al primo apparire offendono l’occhio di chi ha il gusto delle forme tradizionali, ma dopo qualche anno gli stessi progetti sono entrati naturalmente nel gusto comune e vengono tacitamente integrati in tutte le barche. Forse Giles è stato l’unico architetto navale che oltre ad avere in se l’indispensabile capacità di delineare ciò che è più adatto a navigare, sia stato anche un artista.
Certamente Giles ha influenzato, negli ultimi quaranta anni, l’evoluzione della barca moderna più di ogni altro progettista. Pur dimostrando il suo gusto classico e la sua istintiva comprensione della barca classica, derivata dall’esperienza delle barche da lavoro, egli fu realmente un rivoluzionario. Mentre progettisti di gran valore progettavano a piccoli passi nell’evoluzione dei propri progetti successivi, egli fu portato ed ebbe il coraggio, ad affrontare radicalmente il problema che si presentava nello yachting moderno.
Le sue soluzioni sono state quasi sempre imitate. Si può ben dire che è stato il padre dell’Ocean Racer, barca che, come sempre succede, ha fortemente influenzato tutta la produzione di barcheda crociera. E infatti Giles comprese bene che il divario tra queste due tipologie andava ora sempre più allargandosi. Fu così che tra il ‘46 e il ‘50 portò la sua attenzione alle soluzioni per le barche da crociera. Un tempo lo yachting era una questione di vela pura; con il passar del tempo vennero istallati i motori ausiliari, e un po alla volta, motori sempre più potenti. Le linee d’acqua di una vela mal si conciliano con la navigazione a motore, e si giunse ben presto a scafi che era difficile classificare come “a motore ausiliario”, o “a motore con vele ausiliarie”.
Giles propose varie soluzioni per quello che amava definire “full power ketch”, una barca che potesse essere un efficente veliero capace anche di raggiungere una equivalente velocità a motore. La moderna barca da crociera ideale per chi dispone di tempo libero limitatato per compiere in sicurezza navigazioni anche lunghe e impegnative.
Di nuovo in collaborazione con Illingworth nacque nel ‘47 il Myth of Malham molto più piccola della precedente Maid del ‘37 che per diversi anni dominò i campi di regta.
Decisamente brutta, praticamente senza slanci alcuni e quindi tutta galleggiamento, sfruttava al massimo la formula di stazza. Leggerissima di costruzione, un fasciame doppio e diagonale (oggi chiamato lamellare) fissato ad una struttura reticolare di ordinate e serrette.
Tutto a bordo era essenziale in funzione della leggerezza, perfino le maniglie erano traforate. Di coseguenza il dislocamento era abbastanza basso (8 t.) e la chiglia, quasi una pinna, aveva un rigonfiamento in basso per concentrare più in fondo possibile la zavorra, per ottenere una buona stabilità di peso e il minimo di superfice bagnata. Giles con i suoi collaboratori aveva avuto esperienze nella costruzione aereonautica, tecnologie che sfruttavano nuovi collanti per soluzioni leggerissime quanto resistenti; il Myth fu la prima barca ad adottare un albero in lega leggera.
Dalle esperienze di Maid e di Myth Giles derivò quella che doveva restare per lungo periodo il culmine e il compendio della filisofia che si andava affermando per gli Ocean Racers: Gulvain. Questa barca è stata la realizzazione più “spinta” di Giles. Costruita in lega leggera, quindi a quel tempo costosissima vi erano applicate tutte le astuzie nelle attrezzature ispirate dal Capitano Illingworth. È una barca con slanci moderati, contrariamente al Mith che non ne aveva affatto, leggerissima, con un corpo poco profondo e svasato, cui era applicata una pinna simile a quella del Myth. Il cavallino era rovescio (cioé con il bordo libero più alto a centro barca) e questo permetteva una notevole abitabilità interna, anche se gli arredi erano semplici ed essenziali.
Gulvain ebbe un enorme successo in regata. È stato restaurato recentemente dal suo attuale propietario e naviga tuttora sotto bandiera americana. A una perizia prima del restauro, tutte le sue strutture erano perfette dopo ben 40 anni.
Nel medesimo tempo che prendevano il mare Myth of Malham e Gulvain, Giles preparava la seconda barca per Eric e Susan Hiscock, il Wanderer III con il quale la celebre coppia fece il suo secondo giro del mondo. Due concezioni per due scopi completamente diversi.
E alla soluzione del terzo problema, Giles era ormai intento, quello della moderna barca da crociera: un buon veliero con un adeguato motore, come già accennato, a navigare in sicurezza e comfort per diletto, senza ambizioni corsaiole. Nacquero così quelli che egli non desiderava fossero definiti “motorsailers”.
Fino a quel tempo venivano definiti tali certe ibride imbarcazioni a motore con armo il più delle volte inefficente velicamente, sia per le forme dello scafo, che per insufficenza di tela. Era difficile il più delle volte, se definirle barche a vela con un grosso motore oppure barche a motore capaci di trascinarsi sotto vela con poco vento. Il grande problema erano le linee di poppa, troppo piene che trascinavano acqua e creavano turbolenze a vela, oppure troppo fini con la tendenza ad immergersi di poppa quando navigavano a motore.
La soluzione egli la definiva “full power ketches”, (le disegnò anche a sloop). Preferiva l’armo a ketch, che suddivideva meglio la superfice velica, aveva alberi più bassi, e permetteva migliori prestazioni navigando a vela e motore contemporaneamente, quando la velocità era essenziale anche con poco vento.
Uno degli esemplari di maggior interesse fu costruito in Italia, per un armatore inglese, Star Sapphire che fu costruito dal cantiere Beltrami di Genova che realizzò anche altri progetti di Giles. Star Sapphire si può considerare senz’altro la rivisitazione in chiave moderna di quello che erano i grandi yacht a vela di cinquanta anni prima. Questa magnifica e originalissima barca è stata totalmente revisionata recentemente. Anche qui alla perizia tutte le strutture si sono rivelate in ottime condizioni, la revisione più che altro può definirsi una manutenzione straordinaria.
Questa breve carrellata sulla vita e opere di Giles non può coprire tutta l’enorme produzione sua e dei suoi collaboratori. Lo studio Laurent Giles & Partners, sfornò, Jack vivente, più di 500 progetti, dal piccolo Vertue, finora realizzato in più di 300 esemplari, al piccolissimo Sopranino, dai veloci motor yachts, alle innumerevoli barche da regata o da crociera.
Moltissime furono le barche italiane che portarono la sua firma, gran parte ancora sulla breccia dopo 20 o 30 anni. I cantieri Sangermani, Donoratico, Baglietto, Beltrami, Pisa, costrirono sui suoi piani e spesso sotto la sua supervisione personale, yacht da regata e da crociera. Fortissima fu la sua influenza sui suoi coetanei e sulla nuova generazione di progettisti. Si può ben ripetere che creava “la forma delle cose che verranno…”.
Bolina n° 87 – un articolo di Gian Marco Borea