Comandanti Coraggiosi
di Edoardo Napodano
Marinai, comandanti, skipper, capitani… l’appellativo, usato più o meno correttamente, varia a seconda del naviglio, delle abilitazioni e delle circostanze di imbarco. Non cambia invece la somma di responsabilità e professionalità che questa figura fondamentale deve esprimere. I cantieri e UCINA dovrebbero saper alimentare o creare una “propria” scuola con un’accorta politica.
“Il mare è come una poesia; non tollera gli amori tiepidi, dei mediocri; vuole la passione viva, ardente, sincera soprattutto”
Cesare Imperiale di Sant’Angelo
Innanzi tutto mettiamoci d’accordo su terminologia e significato. Le sfumature sono molte, nel linguaggio burocratico, nella consuetudine marinaresca, nel parlato comune. Oggi si usa dire internazionalmente “skipper”, soprattutto per barche da regata. Anche sui piccoli yacht da charter, dove lo skipper è spesso improvvisato e – forse per questo – disdegna altezzosamente di occuparsi di servizio e cucina (quando non meriterebbe di fare altro): istanze pseudo-sindacali, ammantate da scuse ipocritamente democratiche. Apprezzo molto il termine “marinaio”, generalmente inteso, che trovo degno di assoluto rispetto, con o senza patente: “colui che ha dimestichezza con l’attività marinaresca, a qualsiasi mansione sia adibito”. “Capitano” al di là dei significati squisitamente militari, è un termine esatto, ma generico, con una sfumatura letteraria, ampiamente abusato dalle signore ospiti di origini terrigne.
Non mi sembra inutile ricordare la definizione di Comandante, dell’ottimo Dizionario Enciclopedico Marinaresco della Lega Navale Italiana, di cui conservo orgogliosamente una copia del 1972, presentata da Luigi Durand de la Penne.
“Comandante. E’ colui che ha la responsabilità dell’organizzazione e della condotta di una nave da guerra. Nella Marina Militare si dà tale titolo a tutti gli Ufficiali Superiori di Vascello, anche quando non esercitano il comando. Nella Marina mercantile è il capo della nave, della spedizione e dell’equipaggio. Il Comandante ha la responsabilità nautica, commerciale e disciplinare della nave; si tratta quindi di figura e di poteri molto complessi che richiedono approfondimenti. Rappresenta l’armatore, il vettore ecc.; è investito di ampi poteri diretti ad assicurare il successo della spedizione nell’interesse dei partecipanti, della sicurezza della navigazione e dei beni; è investito dell’esercizio di poteri disciplinari, di polizia, di capo della comunità viaggiante; esercita la sua autorità su tutte le persone che si trovano sulla nave; ha poteri di Ufficiale di Stato Civile e di Ufficiale di Polizia Giudiziaria; ha la direzione tecnica della nave (v. anche Capitano, Capo barca, Gente di Mare, Marinaio Autorizzato, Padrone Marittimo, Titoli Professionali). Nella marina da diporto è colui che dispone di un’abilitazione per condurre un’imbarcazione a vela o a motore”.
L’esperienza
Nella vita ho conosciuto un interessante numero di comandanti, dalla sconcertante varietà. Da loro ho imparato molto di quello che so sulle barche e la navigazione e questa è un’ottima occasione per ringraziarli tutti. In quasi 40 anni di frequentazione serrata – privata e professionale – penso di essermene fatto un’idea come armatore e come comandante: nei racconti di banchina posso addirittura vantare di essere stato tenuto a balia (asciutta of course) da un marinaio e la storia si sta ripetendo con mio figlio.
La razza dei vecchi marinai “da yachting”, che provenivano dalle città di mare e talvolta dai pescherecci, davano il coppale, sapevano impiombare e restavano con lo stesso armatore molti lustri se non tutta la vita, è quasi estinta, come i loro armatori. Fortunatamente esistono ancora, attualizzati, alcuni filoni di questa tradizione, soprattutto in Toscana. L’asse di reclutamento è quello storico di Bocca di Magra-Viareggio-Livorno. Sull’Adriatico forse resiste Trieste. Tra i migliori comandanti, ricordo in parte quelli di provenienza mercantile, ma soprattutto militare. L’educazione, la forma – che è sostanza – l’esempio ai sottoposti, il senso gerarchico, ne fanno dei gentiluomini, spesso migliori dei loro stessi armatori. Oggi, in particolar modo, c’è la nutrita congerie di chi lascia la città per amore del mare. Tra questi si trovano nettamente i migliori ed i peggiori elementi della categoria.
Funzioni e attributi
L’improvvisazione non è ammissibile, ma anche il “timbrare il cartellino” come facevano certi pur rimpianti marinai, sono nemici del buon comandante. Se egli non ha vera passione, se non è fondamentalmente contento di imbarcarsi, se ha troppa nostalgia di casa è meglio per lui e per tutti che faccia altro. La preparazione tecnica e di navigazione dovrebbe essere scontata, ma servono miglia e anni di esperienza. La professionalità è sfaccettata in molteplici competenze: velatura, motori, attrezzatura, navigazione, meteorologia, idraulica, elettricità, elettronica, riparazioni, vernici. Le qualità ideali: onestà, carisma, umanità, ordine e precisione e magari cultura. Inoltre, il comandante è o deve tendere ad essere la figura mediatrice tra equipaggio e armatori e ospiti: una funzione diplomatica delicatissima. Salvaguarda l’equipaggio meritevole, pur facendo gli interessi dell’armatore: un compito non facile. Dovrebbe saper fare qualsiasi cosa ordina di fare e avere esperienza di lavori di cantiere e da meccanico, per proteggere il suo armatore, gestendo e amministrando al meglio lo yacht. Il comandante è un grande professionista. Fare il comandante non è da tutti. Il comandante non “guida” la barca e tiene buoni tutti con una bella spaghettata. Ecco quanto scrive Giuseppe Ghibaudi in Diporto Nautico: “La persona più importante dell’equipaggio è il comandante… dal quale dipendono tutte le altre persone dell’equipaggio che subiscono la sua influenza sia materiale che morale… il nostromo, il macchinista, il motorista e i marinai, tutte persone che oltre essere abili, volenterose, disciplinate, debbono essere disinteressate e ordinate”.
Nei colloqui (il curriculum purtroppo non serve a nulla e qualcuno parla meglio di quanto non navighi, quindi vale solo un periodo di prova), ricordo sempre che il miglior comandante è quello che fa vivere all’armatore gli aspetti migliori della barca e risolve per lui i tanti problemi, che spesso nemmeno immagina.
Il valore dell’esempio
Mi piace concludere un argomento – inesauribile! – con la citazione di un bel libro che tutti i comandanti dovrebbero leggere: “Anche se poche erano le navi – facilmente riconoscibili perché sembravano nuove di zecca – su cui vigevano ancora gli usi della vecchia scuola di portare i marinai al limite della umana sopportazione, quelle tradizioni restavano le basi della disciplina e delle arti marinaresche, tramandate dagli ufficiali anziani a quelli più giovani. Ci si aspettava che un ufficiale fosse più forte degli uomini che comandava, e che lui stesso avesse appreso ogni cosa alla dura scuola, prima come allievo e poi come giovane ufficiale. Queste basi non potevano essere messe in discussione, perché rappresentavano la garanzia di sicurezza per tutto l’equipaggio, soprattutto nei momenti di emergenza o di pericolo – e ancora – in quanto futura generazione di ufficiali, anche noi allievi dovevamo occuparcene [scaricare 3.600 tonnellate di carbone Ndr]: primo per imparare a fare qualsiasi lavoro proprio di un marinaio, secondo per fare risparmiare qualcosa agli armatori e terzo per rinforzare i nostri giovani muscoli”. William H.S. Jones Quelli di Capo Horn, Magenes 2005.