di Edoardo Napodano
Che formazione hai avuto?
Volevo navigare in giro per il mondo sulle barche a vela, da skipper e assolutamente non da cuoca o da stewardess, mansione che mi proponevano appena scoprivano che sono una donna! Per essere più competente nel settore nautico, ho pensato di fare architettura navale e progettare barche a vela, ma quando mi sono laureata erano già cinque anni che navigavo e non ho accettato di fare un lavoro d’ufficio chiusa tra quattro mura.
I tuoi rapporti con l’armatore
L’armatore che si fida, ti apre un conto in banca per la barca, ti dice dove e quando la vuole per godersela e poi ti da carta bianca. Io ho sempre avuto armatori che non sapevano quasi nemmeno dove fosse la loro barca e che cosa facesse… non li sentivo né vedevo per dei mesi: l’unica giusta pretesa era che le loro vacanze fossero perfette, senza intoppi tecnici, senza mugugni tra equipaggio.
E con i cantieri di produzione?
Il comandante VERO, quello che fa il bene della barca e gli interessi dell’armatore, viene visto come il fumo negli occhi, perché sta con il fiato sul collo agli operai del cantiere e pretende modifiche ed installazioni secondo il proprio gusto. In effetti è lo skipper che poi sarà in mare alle prese con gli errori del cantiere.
Raccontaci del possibile legame tra comandante e progettista…
Non mi è mai successo perché sulle barche d’epoca ero io il designer dell’armo o dei pezzi che andavano rifatti, quindi consegnavo direttamente i disegni dei pezzi a fabbri, carpentieri o falegnami e mi raffrontavo con loro. Cosa non semplice già solo perché erano uomini ed io donna. Prova ad andare da un fabbro che pesa 120 kg ed è tutto il giorno in canottiera davanti ad una forgia con in mano delle mazze da 10 kg, e pretendere che quel “collare” sia fatto proprio con quel ricciolino…
La tua esperienza con cantieri di manutenzione
Terribile! Di solito, il povero comandante vorrebbe andare in ferie quando la barca è al sicuro in secca ed il cantiere fa quei “quattro lavoretti”. In realtà lo skipper deve stare con il fucile puntato perché i lavori siano eseguiti a regola d’arte e SOPRATTUTTO perché la barca sia consegnata nei tempi prestabiliti.
Che differenza c’è tra comandare un plasticone più o meno ultratecnologico, un vecchio legno pesante e faticoso o un ferro da stiro comodo e veloce?
La barca d’epoca necessita di manodopera più specializzata (barche grandi auriche), ha più manutenzione continua. Vernici a posto tutto l’anno, da fare in navigazione. E’ più faticosa, meno “idraulico”, meno “elettrico”, manovra da schifo, elica disassata, bompresso, tuga alta, timone con 4 giri per parte con vite senza fine diretta…
Su una barca di 40 metri più bompresso e due alberi, tiri su in contemporanea 8 vele!
A bordo di un bel ketch oceanico Wally, svolgi tre vele idrauliche! Il gommone noi lo aliamo con due paranchi… loro aprono la poppa e lo infilano dentro. Un’ancora ammiragliato, deve essere messa appennellata utilizzando la gru di capone con…
paranchi, poi puoi dare fondo sperando che non ci sia mare e che nel frattempo non si sia piantata una marra nello scafo. Dal Wally si apre lo scafo a prua e pigi un tasto.
Sono stata sul Wally: tanto carbonio, fibre ottiche, pulsanti, albero stuzzicadenti in carbonio – chissà durante i temporali! – scarico dei fumi alle crocette. Beh, loro devono lavare la randa sovente: noi no perché abbiamo le vele color crema!
E qui potrei scrivere un libro completo sui “piaceri” delle barche in legno: a parità di stipendio… meglio il ferro da stiro!
Dove e come trovi lavoro? Funziona la di più la banchina o le agenzie?
Mi hanno sempre cercato a casa, armatori che hanno fatto il passaparola.
Come vedi l’evoluzione della professione?
Critica: si tendono a realizzare barche super tecnologiche di grande lunghezza, fatte per essere portate da un equipaggio minimo. Però le esigenze del lavoro estivo dell’equipaggio rimangono inalterate, perché è vero che una barca da 20 metri la portano due persone (in mare con la tecnologia, puoi portare da solo anche un 40 metri), ma quelle stesse due, devono anche far da mangiare, portare il gommone, fare la spesa, lavare la coperta, rifare le cabine: quindi più lavoro. C’è molta concorrenza dai paesi stranieri: lasciamo stare i filippini che essendo privi di inventiva e di iniziative, difficilmente fanno concorrenza ad un comandante italiano. Però dai paesi dell’est arrivano ragazzi che sono molto più qualificati come operai, sanno mettere le mani sul legno, sulle vernici, sul motore e non disdegnano di farlo.
Problemi con gli amministratori?
La figura dell’amministratore entra sicuramente in conflitto con quella del comandante. Può essere necessario su una grossa barca che va a fare regate in giro per il mondo e allora deve movimentare container, equipaggio, iscrizioni. Allora sì che può essere una figura utile.
Hai fatto veramente di tutto nella nautica, perfino scritto romanzi. Oggi dirigi una collana di libri di mare. Parlaci di te…
Leggete “Donne in mare” e scoprirete come si fa ad essere un comandante donna! Scherzi autopromozionali a parte, ho fatto il comandante di barche a vela per passione e non volevo che la passione diventasse routine (portare il ferro da stiro o guidare l’autobus per me sarebbe stato lo stesso). Ho cercato quindi di crearmi 25 anni di lavoro sempre diverso: barche d’epoca, barche veloci, regate d’altura, giri del mondo, cantiere, restauro; anche quando ero il comandante fisso di una barca per anni, mi sono sempre presa degli spazi per la traversata oceanica o per la regata.
Se non avevo l’imbarco fisso (che da comandante vuol dire “aver sposato la barca”, affiancavo esaltanti trasferimenti in paesi esotici con il seppur noioso, ma remunerativo trasferimento in Mediterraneo…). Unica condizione per me nei confronti dell’armatore è sempre stata quella di andare a vela in trasferimento! Penso in 25 anni di aver fatto spendere pochissimo in gasolio ai miei datori di lavoro.
Del resto l’equipaggio alla fine è quello che si gode di più la barca!
Mi rendo conto che i miei amici e colleghi uomini che hanno una famiglia, sovente vedono il lavoro del comandante con un’ottica diversa. Il prestigio e lo stipendio di un comandante crescono in funzione dei metri di barca comandata: per me un grande stipendio su di una barca che sta in porto 11 mesi, non è un incentivo sufficiente per prenderne il comando.
Come si diventa comandanti?
In Italia ci sono tre modi di accostarsi alla nautica da diporto a livello professionale:
1) soprattutto su grandi barche (vela e motore), un ufficiale della Marina Mercantile, in pensione, prende il comando della barca e naviga in “nero” finche se la sente.
2) un giovane intraprende le scuole dell’Istituto Nautico e poi già minorenne si imbarca su barche a vela o motore come allievo e di lì inizia la carriera con tanto di libretto di navigazione (con bandiera straniera un anno vale due!). Ne consegue che da adulto cercherà imbarchi in regola, tendenzialmente annuali, anche su barche a motore.
3) a qualsiasi età, con o senza patente, con o senza esperienza, ci si imbarca su barche che piacciono o per destinazioni esotiche, non garantendo mai di finire la stagione o di saper fare il proprio lavoro.
Come è cambiato il “mestiere” da quando hai iniziato?
Prima dell’esistenza dei telefonini (parlo dei miei primi anni) quando eri in mare per trasferimenti, ti perdevi i clienti per altri lavori perché non eri rintracciabile. In oltre ci sono molti modi di lavorare: comandante fisso, trasferimenti mediterraneo, trasferimenti oltre oceano, lavori di manutenzione, charter e scuola vela.
Uno skipper alle prime esperienze, difficilmente riesce a vivere con una sola di queste attività, così devi accettarle tutte e poi specializzarti. Teniamo presente che: “il marinaio è uno che sa far tutto… male!” (nel senso che uno si improvvisa per qualsiasi lavoro).
Per evitare di perdere il cliente, dare sempre un servizio e assicurarsi il lavoro anche quando eri in mare, ispirandomi ai modelli stranieri (soprattutto inglesi), nel 1988 diedi vita alla “Cooperativa Vela”: una sorta di crew agency che con tanto di segretaria, doveva accalappiare lavoro per tutti i soci, gestendo l’assenza in mare di alcuni. Conseguenze: d’inverno c’erano soci “a piedi” che pretendevano di lavorare, d’estate non si riusciva a far fronte alle richieste.
In più, estrema sorpresa, la maggior parte voleva continuare a lavorare “in nero” senza responsabilità e senza garanzie. Era una sorta di attività difficilissima da gestire, perché solitamente le vere crew agency gestiscono anche le buste paga ed i libretti di navigazione dei marinai, stipulando contratti con le società degli armatori e assicurazioni.
Diciamo che i marinai o comandanti che siano, amano una buona dose di “libertà”
Parliamoci chiaro: la maggior parte dei “comandanti” vogliono gestire in modo autonomo i budget delle barche, senza amministratori. Vogliono andare dal cantiere che fa i LORO interessi e non quelli dell’armatore e anche in questo caso senza intermediari perché intascano delle chiamiamole “provvigioni”.
I comandanti che non lavorano in questo modo sono pochissimi; i cantieri ed i fornitori sono i primi ad offrirti degli “incentivi” se fai o non fai un certo lavoro, se monti o non monti quello strumento, generatore, motore… e gli armatori sono troppo impegnati nei loro affari da non occuparsi di tutto ciò, tanto per loro la barca è un capriccio, un optional, uno sfizio.
E’ così anche all’estero?
I comandanti stranieri guadagnano meno soldi e sono più preparati, forse perché all’estero la nautica è più diffusa, meno elitaria, e chi la avvicina per lavoro lo fa per “interesse professionale” e non solo perché è “un modo divertente di guadagnare tanti soldi stando in vacanza”.
Diciamo che hai un po’ il dente avvelenato con la categoria dei marinai
Da quando comando barche un po’ più grosse e un po’ più serie, (dal 1989 Tirrenia II), ho dovuto scontrarmi con la più grande difficoltà che deve affrontare un comandante: reperire manodopera qualificata.
I curriculum non servono ad un accidenti, la maggior parte sono falsi. Non ho mai avuto problemi a livello umano, personalmente vivo in maniera molto distaccata i rapporti, è difficile farmi arrabbiare, offendermi e così via, però non transigo sulla professionalità e sull’elasticità mentale e di programmi che bisogna PER FORZA avere quando si sta in mare: il temporale si scatena sempre di notte, mai al pomeriggio quando hai già una cerata addosso! Gli ospiti dell’armatore è più facile che pranzino alle 15 che alle 12.30 in punto! L’avaria capita sempre con gli ospiti a bordo, mai quando fai un trasferimento tranquillo con amici!
Che dire di più… tantissimo!