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Yachting World Italia primavera 2002

Killer Food

Che i regatanti fossero sadomasochisti è cosa appurata, ma provare di persona la massima delle perversioni velistiche è davvero micidiale: l’Atlantico su un VO 60, da Annapolis a La Rochelle, con equipaggio superomistico e svedese e null’altro da mangiare se non cibo essiccato e freddo. La ricetta migliore per riscoprire tutti i più piccoli e reconditi piaceri della vita!

VOR mon amour. Sono a La Rochelle.

Sì che meraviglia. Che bello! È stupendo: tutto è asciutto e fermo e profumato, fragrante di baguettes e di terrigna primavera. Mi aggrappo al tavolo del bistrot anche se non ce n’è più bisogno: deformazione marinaresca. Quando cammino, volo, è come togliersi uno zaino alpino dalle spalle. Ho un piacevole mal di terra – l’ho sempre amato – una fantastica sensazione di stordimento.

Sono sbarcato ieri notte: sandwich, pesche e birretta in banchina. Il primo cibo vero, solido, nutriente, dopo tredici giorni e sei ore di traversata. Alle mie spalle la base degli U-Boot di Döenitz, a ricordarmi le passioni storico-militari. Niente di meglio.

E poi dalle 2.00 alle 3.00, il bagno caldo più bello della mia vita: ah togliersi di dosso vestiti bagnati e sudiciume immondo: quando non si sopporta più nemmeno il proprio odore – figuriamoci quello degli altri – quando l’inossidabile, ma ossidato equipaggio di un VO 60, somiglia ad una ciurmaglia di clochards e la barca alla zattera dei naufraghi della Medusa.

Una delle cose che mi ha spesso affascinato degli sport estremi, è quella sensazione di meritare… di essersi guadagnati nella vita tutta una serie di piaceri grandi e piccoli, lussuosi e opulenti.

Ho perso più o meno quattro chili, quindi mi sto devastando di croissant senza alcun senso di colpa. Al Café de la Paix di Place Verdun: luogo dove sopravvive la Belle Epoque perfino nel cameriere dagli imponenti mustacchi, uscito direttamente dai giornali francesi di trincea della Grande Guerra.

Per non parlare delle montagne di ostriche che mi hanno accolto: un tripudio bretone inondato di Sancerre (acqua dissalata vade retro). Tutto ha un gusto magnifico, diverso… anche le donne, geishe interstellari.

Forse, tutti noi avremmo bisogno di almeno una transoceanica all’anno, per renderci conto di quanto sia bella la vita. E – intendiamoci – da farsi non su un yacht da crociera, ma su un VO 60! La barca più scomoda che abbia mai visto. Senza spazio e nemmeno uno straccio di presa d’aria – non dico una dorade! – per diminuire il fetore insopportabile: un bel cocktail di nafta, cose bagnate, sentina, umanità, cucina (non mediterranea) e latrina. Niente male eh? Una barca bagnata, fuori – passi – e anche dentro, diamine.

Ciò di cui certamente nessuno ha bisogno, invece, è quell’ignominioso, puteolente, esecrabile cibo essiccato che va tanto di moda alla Volvo Ocean Race.

Chili con carne, paella alla valenciana, spaghetti alla carbonara (!), riso ai frutti di mare, pasta alla bolognese (?), purea di patate con spezzatino: non fatevi ingannare da questo menu altisonante. È davvero il caso di tutto fumo… .In realtà si tratta di inquietanti polveri in sacchetti di plastica. Una volta aperti, come vasi di Pandora, ne fuoriesce un mefitico odore. Si versa la polvere in una pentola con acqua e il tutto prende vita, come una sorta di Alien. Per cercare di digerire la sbobba in meno di 12 ore, ci si aiuta con copiose libagioni di Coca Cola. Odore e sapore sono assolutamente identici per tutto: ributtanti, tendenti allo schifoso, con piccoli pezzi allo stato crudo.

Sia per la natura in sé del procedimento di conservazione, sia per l’insistente nuance piccante, si è costretti a bere molto più del dovuto, cosa già concettualmente sbagliata. Ed invece che dare energia al corpo, questo cibo ne richiede – inaudito! – per tentare di essere digerito. Quando si inizia a pensare di poter pagare qualsiasi cifra per una scatoletta di carne o di tonno, vuol dire che qualcosa, davvero, non funziona. E non voglio fare il solito italiano con la mania della dieta mediterranea, ma qui io parlo di sopravvivenza. Si può sopportare qualsiasi sacrificio, qualsiasi privazione, il mare peggiore, la nausea, il vivere costantemente bagnati, il freddo e tutto quello che abbiamo visto in questi mesi alla Volvo Ocean Race. Ma perché il supremo ed inutile sadismo di costringere gente che rischia la pelle per mesi e mesi in tutti i mari del mondo ad alimentarsi in modo siffatto?

Cambiate le regole signori della VOR. Stabilite per tutti gli equipaggi un peso minimo comune di alimenti “normali” e oserei dire “umani”. Inventate una qualche soluzione. Tornate al pemmican. Chiedete aiuto alla NASA.

Per quanto mi riguarda, brindo con un buon bicchiere di tradizionalissimo Sangue di Nelson alla cambusa del Sayula e a quei tempi magnifici.

 

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