I cantieri navali che abbiano uno sbocco diretto sul mare sono da molti anni una rarità preziosa. Gioielli talvolta di archeologia industriale. Bacini o insenature per travel lift, meglio ancora scali e magari un minimo di banchina tecnica, nei casi più fortunati moli più o meno fissi o galleggianti.
Nell’ultimo decennio, nel nord e soprattutto nord-ovest, il prezzo per subentrare nelle concessioni e/o comprare le parti di proprietà è arrivato a cifre che nemmeno vari decenni di lavoro a pieno regime degli stessi cantieri avrebbe “coperto”. Investimenti quindi assurdi, antieconomici, sproporzionati: quasi mai supportati da immobili e parti di “proprietà” a garanzia almeno parziale di simili esborsi. Sappiamo che in qualche caso nemmeno i gruppi più spericolati dell’ultima nautica sono riusciti a mettere le mani su pur appetitose aree del genere. Il che è tutto dire.
Come se non bastasse la politica locale – oltre a cercare di mettere le mani sui porti – si è messa in testa piani faraonici (o anche pauperistici) di “waterfront” galattici o della mutua, comunque costosissimi da realizzare, firmati da architetti di grido internazionale o anche solo da geometri del comune (tanto l’importante è mangiare). Tutto in nome di un turismo (mai che sia nautico) o di una utopistica e velleitaria fruizione della popolazione locale. Ecco quindi mancati rinnovi di concessioni o addirittura demolizione di stabilimenti.
Ora, non vorremmo recitare indegnamente la parte dei Piero Ottone della cantieristica, ma quanto sono più veri, sani, virtuosamente proletari i vecchi capannoni, anche un po’ malconci, delabree, con gli scali, che magari da secoli fanno parte di certi paesaggi costieri, perfettamente integrati, non certo mostri di cemento. Come fossero sempre stati lì. Testimoni della vera storia della nautica. Con tutto il sudore grato e le speranze di generazioni di carpentieri, artigiani e “padroni”. Con quel profumo per noi proustiano della segatura e il suo rumore. Il grido ripetuto, più o meno lungo delle seghe a nastro: un frinire di cicale. Altro che speculazioni neroniane di avidi politicanti: ci vorrebbe la Sovrintendenza delle Belle Arti a salvare o migliorare ciò che sia degno di essere salvato da stabilimenti balneari di plastica e passeggiate progettate con lo stampino. Quanti esempi potremmo fare? Baglietto, Costaguta e poi Santa Margherita Ligure (Otam, Diano e tanti altri, magari da migliorare, ma non certo da eliminare), il mitico Victor di Chiavari (come l’omonimo cantiere modernissimo abbattuto qualche anno orsono), Lavagna, Riva Trigoso, La Spezia, per limitarci a una zona che chi scrive, conosce molto bene. Saremo considerati pazzi e affetti da deformazione professionale, ma a noi piacevano prima. Lentamente, inesorabilmente, per malriposte idee di progresso e di voto, la mannaia si abbatte sugli scali, a rendere monchi questi antichi cantieri e ingrassare monopoli di alaggi e vari, gruisti e trasportatori. Il tutto si ripercuote a cascata fino al cliente finale: poi ci si chiede come mai avere una barca in Italia debba essere infinitamente più oneroso che in qualunque altro luogo al mondo. Senza contare che da che mondo è mondo le barche si riparano e costruiscono sul mare, mica in montagna o in pianura come succede ormai sempre più spesso da Fano a Carasco, con complicazioni logistiche, tecniche e lievitazione dei costi esorbitanti.
Conoscete situazioni del genere? Potete raccontarci speculazioni fallite o riuscite? Vi preghiamo di segnalarcele: istituiamo una buona volta il topos “Un cantiere da salvare”.
Caro Edoardo,
bravo, hai scritto proprio un bell’editoriale!………. e chi te lo dice è uno che ancora vive di quei bei ricordi a cui accennavi tu…. aggiungerei anche il suono del maglio del calafato e il profumo della pece (oggi tutti direbbero la puzza) e tu certo capirai quanto queste cose mi possano mancare!
Tu conosci bene la mia storia e sai che, come tutte le realtà cantieristiche di Lavagna, avevamo il mare di fronte a noi, con le sue bellezze e con le sue insidie……. e proprio per quest’ultime abbiamo rinunciato alle bellezze per avere un avvenire sicuro, un porto che ci proteggesse dal mare e che ci consentisse di lavorare tutto l’anno e con serenità.
Mai pensavamo di dover abbassare la testa di fronte a concessionari o ai monopoli a cui tu accennavi.
Bei ricodi i vari sulla spiaggia con la cittadinanza che partecipava alla festa………… anche perchè in quegli anni solo da noi dipenevano circa centocinquanta famiglie.
Ma non possiamo vivere solo di ricordi………. e non possiamo neanche vivere solo di numeri, di previsioni, di proiezioni, di bilanci e di tutte quelle parole inglesi che solo un bocconiano sa che cosa vogliono esattamente dire.
Si deve fare un ragionevole compromesso.
Li abbiamo visti questi “fichetti” dirigere strutture prestigiose dallo storico nome ed abbiamo visto la fine che hanno fatto!
Non è tutta colpa della crisi…….. nella vita e nel lavoro si deve essere umili ed onesti. E aggiungerei, molto timidamente, anche un pochino competenti.
Sono d’accordo con te quando parli dei cantieri sul mare….. purtroppo l’avvento delle nuove tecniche di costruzione (la plastica volgare) ha causato l’esodo dei cantieri (che non si possono più chiamare cantieri navali, ma semplicemente opifici) verso zone dove tutto costava di meno e dove chi vi lavorava non sapeva distinguere la prua dalla poppa.
Purtroppo non è facile trovare sul mare gli spazi necessari ad una nautica di dimensioni forse ridotte, ma di grande eccellenza (perchè questa sarà a mio avviso la nautica del futuro)…… non è facile, dicevo, perchè si è lasciato lo spazio per fare quelle porcherie che sapientemente nominavi.
Lo so, mio caro, poi tutto si ripercuote sull’utente finale, il diportista quello vero, che scappa via verso luoghi dove è meglio trattato.
E poi, non salviamo i cantieri che sono usciti di scena (non uso la parola falliti perchè magari si offendono) ma aiutiamo chi vive in quanto si è salvato da solo!
Un abbraccio,
Cesare Sangermani