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Diario (blog)

Manca una politica dei porti

EDITORIALE NAUTECH FEB 2014

Basterebbe il titolo, ma tra i diversi e pressanti nodi della nautica e del diporto italiano, quello dei marina e dei porti ci sembra passare spesso in secondo piano. Ingiustamente e -lo affermiamo- come operatori e come utenti.

Storicamente e almeno fino al governo Monti il problema principale stava nella mancanza endemica di ormeggi, soprattutto dove ce ne sarebbe stato bisogno. Questo era (ed è) dovuto all’iter difficile, lento e imprenditorialmente anti-economico per la costruzione di un marina, non disgiunto dalla frammentazione dei numerosi enti ed interessi coinvolti: demanio, comune, provincia, regione, capitaneria e chissà quanti altri. Si era quindi pensato di risolvere parzialmente la questione con la più accessibile modifica, razionalizzazione ed ottimizzazione di aree portuali, moli e banchine dismesse o poco sfruttate. A ciò si era ultimamente aggiunta un’azione di Ucina sui governi per facilitare l’impianto e la gestione di moli amovibili e la ripresa all’ordine del giorno di porti a secco e campi boe. Preme poi non dimenticare che in tutti i casi, porti, marine e banchine varie, l’investimento e/o la gestione sono e sono stati pubblici, privati e misti.

In questo coacervo sembra che sovente sia mancata una politica unitaria sia nell’individuazione delle aree sia, ahinoi, anche necessariamente di gestione e tariffe. Con relativi disservizi, se non peggio. Con il perpetuarsi di collusioni pubblico-privato, nelle malversazioni, nella stolida e spesso disperata ricerca di un guadagno immediato e sproporzionato, senza ritegno ad una politica di turismo nautico tanto decantata.

Non è il modo di attirare e fidelizzare traffico straniero, comunitario ed extra. Non è il modo di tenerci il nostro diporto moribondo. Perché vorremmo pedantemente ricordare che non è proprio il solo terrore e terrorismo fiscale il problema: semmai esso è il colpo di grazia dopo anni di disservizi, rapacità, disorganizzazione.  Di mancanza delle condizioni base per il diporto. Senza nulla togliere a tutti gli altri problemi, alle diversissime responsabilità. Ripetiamolo, non di soli superyacht si vive;  e anche quelli comunque bisogna saperseli guadagnare nella competizione internazionale. Li produciamo? Teniamoceli stretti, nelle “accoglienti” acque territoriali.

Cattedrali nel deserto, mancanza di coesione col territorio, mere speculazioni edilizie, corruzione. Come spesso saputo, tollerato e dimostrato una volta di più dallo scandalo Viareggio che vede –al momento di andare in stampa- un maresciallo della Capitaneria indagato per corruzione. Solo il coperchio di un vaso di Pandora che ci auguriamo –se ce ne sarà la volontà politica- serva a contribuire ad un’epurazione radicale in tutta la marittima Nazione.

 Oggi assistiamo quindi alla desertificazioni dei nostri ormeggi. Vuoti o con barche più o meno abbandonate. Allora a maggior ragione dovremmo studiare una qualche forma  più efficace di governance (scusate la parola) dei porti italiani… di quel che ne resta.

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