Pasquale De Gregorio è proprio una bella figura di navigatore. Anche molto oltre il fatto di essersi imbarcato a sessant’anni in un’avventura davvero speciale e per molti aspetti terrificante: un esempio per tutti, sempre con stile.
Parte dai ringraziamenti il simpatico navigatore solitario della Vendée Globe, Pasquale De Gregorio. Mentre guida nel traffico caotico di Roma, la sua città m non può non rimpiangere le deserte distese marine e – come dargli torto – sogna di ripartire.
Ringrazia per l’appoggio finanziario Wind, lo sponsor, entità assolutamente fondamentale per chiunque oggi si metta per mare con intenzioni regatiero-antagonistiche e ringrazia per il sostegno morale e materiale i molti amici, alcuni di vecchia data, altri di nuova acquisizione, tutti votati entusiasticamente all’avvio ed alla realizzazione del sogno. Ma “l’avventura costa” non solamente in termini finanziari: “Soprattutto il prezzo pagato per partire è stato elevatissimo. Per avviare e portare a termine il programma, in quasi quattro anni ho dovuto tagliare o ridurre al minimo accettabile i rapporti con congiunti, parenti ed amici, salvo che con la mia compagna che mi è sempre stata accanto, assicurandomi un aiuto decisivo e illimitato su tutti i fronti”.
E attacca a raccontare paure, gioie, aneddoti, la regata insomma. Un esempio di come una vita vissuta consapevolmente ed in modo attivo ed attento presenti ripetute occasioni per emozionarsi, per stimolare ed appagare la sensibilità. Come il contatto radio con il “farista” di Capo Horn che, foto alla mano, lo apostrofa con uno squillante “Don Pasquale De Gregorio!”: al suo primo passaggio dal famigerato Capo, per di più in solitario e in un giro senza scalo. Sentirsi chiamare in quel modo familiare senza avergli dato il nome, ma solo comunicando la posizione gli ha fatto un certo effetto. Ha poi realizzato che il “farista” doveva aver avuto il programma ufficiale della regata, da una troupe televisiva francese nei pressi del Capo nei giorni precedenti.
Il momento più bello: l’arrivo. Per l’incredibile accoglienza che gli è stata tributata, per l’aver ritrovato persone care, parenti e amici. Per la tranquilla consapevolezza di aver avuto finalmente ragione, con il decisivo aiuto della buona sorte, delle tante difficoltà incontrate prima e durante la regata.
Il momento più brutto: prima della regata, quando ha appreso che i perni della chiglia basculante erano ciccati e non c’era tempo per ripristinarli in modo sicuro. Quello che “frulla” in testa ad un solitario nelle varie fasi di preparazione e svolgimento della regata, è la paura di aver dimenticato di imbarcare o di verificare qualcosa di importante. Dopo, vista l’assoluta novità del percorso, diviene predominante la curiosità per quello che via via si sta svolgendo e l’attenzione al comportamento ed alle reazioni della barca e delle sue componenti.
A sessant’anni “Don Pasquale” ha sviluppato un suo personale fatalismo attivo nei confronti della vita. Ha avuto sicuramente, soprattutto nel Grande Sud, momenti di grande tensione ed attenzione, che non crede si possano propriamente definire di paura. La barca in sé gli ha dato sempre grande sicurezza tralasciando qualche residua incertezza sulla chiglia ed i mezzi d’informazione meteo, nel suo caso tutti fuori uso già sul finire della discesa dell’Atlantico, indispensabili per ottimizzare lunghezza e velocità della navigazione.
Gli chiedo che cosa ha sognato di più mentre era a bordo e sono curioso di sapere che cosa ha fatto appena sbarcato (banchetti luculliani e piaceri connessi, saune, idromassaggi, bagni di folla): “La cosa di cui più avvertivo la mancanza o il bisogno era, con il passare dei giorni, il contatto fisico con le persone care ed amici. Quando ho tagliato il traguardo, dopo aver riabbracciato la mia donna e gli amici, subito saliti a bordo, ho bevuto un bicchiere di vino rosso, mangiato un pezzo di pane fresco e mi sono quindi acceso un sigaro (ne ero rimasto senza da circa metà giro). Una volta sbarcato, ho tirato la notte alla lunga con gli amici”. In effetti Pasquale è un riconosciuto maestro nei piaceri della vita – vela, sigari e buon vino, tanto per intendersi – e c’è da chiedersi per quale ragione abbia scelto una competizione così dura e mal conciliabile con un certo bel vivere. Certamente la Vendée Globe non è una vacanza né un esempio di vita comoda. Ma proprio perché implica la sopportazione di una rilevante quantità di disagi, ritiene sia importantissimo non privarsi (del tutto) di quei piccoli o grandi piaceri che in genere ci aiutano ad affrontare (o sopportare) meglio le difficoltà della vita. Per quel che riguarda l’alimentazione, considerata non una mera necessità, ma uno dei piccoli piaceri della vita, De Gregorio ha quindi cercato di seguire un regime che, pur in un’ottica di contenimento dei pesi, non si discostasse molto dall’abituale. Gli elementi portanti erano costituiti da vegetali e legumi semplicemente disidratati e dal riso, combinati e cucinati a suo gusto, con aglio e peperoncino in abbondanza.
Poca posta e pochi pelati, una busta di liofilizzati a settimana (per emergenza), formaggio e carne secca sotto vuoto, tonno in scatola, frutta secca in quantità, biscotti, cioccolata, latte in polvere, caffè solubile e per moka, miele e marmellata, vino e un discreto numero di superalcolici. Come pane, griselle calabre integrali che hanno retto a meraviglia per l’intera durata del giro.
Pasquale ha le idee chiare oltre che sulla vita, ovviamente anche sulle barche e racconta che nel corso dell’ultimo decennio di open 60 e 50 sono molto cambiati: sono apparse le chiglie basculanti e gli alberi alari rotanti, con o senza crocette o crocettoni, le larghezze si sono ridotte, i bulbi appesantiti per via delle nuove regole di stabilità, le costruzioni sono diventate più leggere e sofisticate, con largo impiego di preimpregnati ed anime in nomex (nido d’ape). Nel complesso le barche dell’ultima generazione, come dimostrato dall’abbattimento del precedente record di Auguin da parte dei sei primi arrivati, sono diventate molto più potenti e veloci ed anche più sicure. Il monopolio progettuale di Finot-Conq, che continua nondimeno a primeggiare, non è più assoluto e nuovi progettisti si affacciano alla ribalta. Segno che, se l’esperienza progettuale specifica è importante e nessuno può vantarne al pari di Finot, il tema può essere felicemente ed originalmente affrontato anche da altri. Bisogna infine tener presente che è fondamentale per la riuscita del progetto, la stretta interazione progettista-skipper.
Il lavoro di preparazione e la disponibilità del tempo occorrente per effettuarlo sono fondamentali, forse ancor più dell’ampiezza dei mezzi finanziari che, per il livello tecnologico delle barche e la necessità di un team efficiente, è del pari molto importante. Il successo dipende in definitiva per il 50 per cento dalla barca, come risultante di questi fattori, e per il restante 50 per cento da chi la conduce. Bella figura di gentleman navigator De Gregorio sostiene la nobile categoria dei “dilettanti”, intesi nel senso più virtuoso, soprattutto nelle Vendée Globe, dove i fattori decisivi per arrivare in fondo sono l’esperienza complessiva e la capacità di ricoprire tutti i ruoli di un equipaggio, di per sé connaturata alla navigazione diportistica (in genere affrontata con equipaggi ridotti), piuttosto che la raffinata specializzazione in questo o quel ruolo.
Sul fatto che in una regata così lunga e “scomoda” conti di più lo spirito di competizione nei confronti degli altri, piuttosto che la sfida con sé stessi dichiara: “Sfida con se stessi significa mettersi alla prova oltre i propri limiti e questo non è né sensato né, soprattutto, comportamento da marinai. In una regata per solitari la competizione con gli altri concorrenti è fisiologica visto che la gara si traduce sempre in un confronto personale a distanza, sia che si miri a primeggiare sugli altri che soltanto a venire a capo delle difficoltà intrinseche e sopravvenute della prova o dei limiti oggettivamente derivanti dal competere con un barca di dimensioni inferiori”. E sugli avversari: “In questa edizione della Vendée Globe tutti i concorrenti, in quanto in possesso di una rilevante esperienza di navigazione e di qualità soprattutto psichiche non proprio comunissime, sono degni di stima incondizionata. Detto ciò, è innegabile che alcuni di loro, come Parlier, Desjoyeaux, Macarthur, Jourdain, Thiercelin, meritino un’ammirazione tutta particolare”.
Visti i problemi che ha avuto prima e durante questa edizione, gli piacerebbe molto rifarla, con un 60’, ma soltanto a condizione di poter disporre della barca con almeno un anno di anticipo. Apprezza la formula e il regolamento della regata così come sono, anche se auspicherebbe l’introduzione di un più ridotto limite di pescaggio per le barche.
Per il futuro, Pasquale De Gregorio, fatta la dovuta eccezione per la navigazione in regata, vorrebbe vivere al rallentatore. Assaporando al meglio ogni attimo dei giorni a venire.