Oggi parliamo di “usato”. Ci sono molte diverse e buone ragioni che inducono un armatore medio a mettere in vendita una barca media: economiche, familiari, professionali, anagrafiche e anche di salute fisica e mentale. Soprattutto e sovente l’esaurimento della sopportazione delle lamentele in sequenza di mogli, fidanzate, amanti, figli, suoceri e cognati.
Talvolta in previsione di un successivo acquisto di un’unità più grande, veloce, comoda oppure meno impegnativa, più piccola, senza equipaggio magari un natante o -come diciamo oggi con garbo albionico- un daysailer, tanto per non sminuire troppo l’oggetto.
Che si tratti di vela o motore, di una lurida pilotina di cantiere sconosciuto o di un scintillante fly –teoricamente- supertitolato, di un motorsailer in stato di relitto piuttosto che di un racer composito pari al nuovo, ebbene l’uomo resta uomo o meglio l’armatore resta armatore e si divide in due grandi categorie: il fatalista-cosciente-disincantato e il protervo-pugnace-Gen. Custer.
Il primo ragiona lucidamente, si convince in base a motivazioni tecniche e di mercato, spesso lascia fare ai professionisti. Insomma rende la vita migliore a tutti. La tipologia “Gen. Custer” è -permettetemi- diabolica e quel che più preoccupa, non agisce meramente in base a tecniche di vendita e trattativa, ma proprio è obnubilato, sentimentale e anche un po’ paranoico. La “sua” barca è unica, perfetta anche se somiglia alla zattera della Medusa, non ha mai bisogno delle manutenzioni evidenti che si cerca con diplomazia o seccamente di fargli notare. Magari con gran sforzo gli si porta l’unico potenziale acquirente, adatto per specialissime ragioni, e quello scambia il miracolo per il giusto riconoscimento alle sue teorie nautiche bislacche. Quel che è peggio è che spesso Custer fa la somma degli investimenti fatti negli anni e in cuor suo pensa veramente –non dico- di andare in pari, ma addirittura di guadagnarci. La cosa era teoricamente e nominalmente possibile ai tempi dell’inflazione. Normalmente va a finire che si tiene la barca, poco o tanto ci spende nel tempo ulteriore (almeno di ormeggio o piazzale) e il risultato è che il mezzo si deprezza comunque ancora di più e viene svenduto malamente o abbandonato.
Esiste poi chi non vuole vendere davvero anche se sa di doverlo fare e qui entriamo nell’abisso della mente umana, territorio della psicanalisi. Ci sarebbe materia per un libro: barche in vendita dal 97, richieste faraoniche, comportamenti autolesionistici…
Il vecchio padre di un mio carpentiere diceva che era meglio lavorare con clienti che capiscono di barche… aggiungo che non basta, ma aiuta.
ps Stamane mi è stata fatta una metafora perfetta dell’armatore/Custer: come il genitore che non vede realmente la crescita e tutti i piccoli cambiamenti dei figli perché li ha davanti tutti i giorni… e anche soprattutto li considera ancora bambini seppur adulti, questo armatore “vede” la sua barca con gli occhi del primo giorno, dei tempi migliori. Un meccanismo mentale che gli impedisce di rendersi conto realmente dei segni del tempo, della portata dei suoi effetti. Anche contro ogni evidenza.