FABIO BUZZI IN RISPOSTA A UN EDITORIALE DEL 2011 DI PIENA CRISI
la ringrazio per aver richiesto il mio modesto parere dopo una conferenza di tanti saggi !
Ecco come vedo la situazione: alla fine della Terza guerra mondiale, clamorosamente persa dall’Occidente contro un’ Oriente intraprendente, lavoratore, entusiasta e soprattutto AFFAMATO , mi pare necessario fare un’analisi.
Ecco il punto, l’Oriente ha fame ,mentre noi siamo solo preoccupati di metterci a dieta perché…mangiamo troppo !!
Certo, l’Oriente aumenterà in futuro il suo costo orario, ma per ora il divario è esattamente di 15 a 1 !! Intanto la Camusso non ci permette di diminuire il nostro costo orario e ben ha fatto Marchionne ad uscire da una Confindustria dove la povera Marcegaglia ha solo preso una raffica di cazzottoni dalla giunonica Camusso ,senza neppure riuscire a farle il solletico !
Essendo il costo degli scafi composto più o meno da un 35% di materiali e da un 65% di manodopera se ne deduce che uno scafo fatto in oriente può costare esattamente 35 + 65/15 = 39,33 % del costo attuale.
Ecco perché dall’Italia è scomparso in passato il tessile, totalmente passato in Oriente, e sta ora scomparendo la meccanica , ed a maggior ragione scomparirà la nautica. Prova ne sia che le navi oggi sono tutte fatte in Oriente, ad un costo pari a circa il 39% delle navi fatte dalla nostra Fincantieri.( Il 39 è appunto giustificato dal conteggio sopra esposto.)
Allora, non ci sono soluzioni ?
Ce n’è una sola. Smetterla di costruire scafi ad alto consumo energetico ,tanto facilmente copiabili de copiarsi tra di loro, intasando il salone di Genova di copie conformi ,senza alcuna differenza tra loro.
Per sopravvivere occorre investire in ricerca ,rimboccandosi le maniche ,lavorando duramente, senza andare ad inutili convegni,e senza nulla chiedere a politici senza futuro. La termodinamica regola il mondo e ci assicura che senza lavoro non si ottiene nulla. Ora visto che l’unico lavoro in cui siamo ancora competitivi è quello cerebrale, proviamo ad usarlo! Saluti Fabio Buzzi
EDITORIALE NAUTECH NOV 2011
Di Edoardo Napodano
Mediterraneo d’ottobre
Abbiamo partecipato ad un convegno o meglio un dibattito. Ce ne sono a decine nell’autunno nautico, ma questo riuniva una (ex?) potenza di fuoco impressionante o nicchie e marchi –davvero- “prestigiosi” anzi significativi : Lamberto Tacoli-Gruppo Ferretti, Paolo Vitelli-Azimut-Benetti, Leonardo Ferragamo-Nautor, Dustan McCoy–Brunswick, Massimo Radice-Sessa.
Non ve racconteremo pedissequamente lo svolgimento, ma vorremmo sottoporvi alcuni spunti e chiedervi: “Voi cosa gli avreste chiesto? A quali responsabilità li avreste inchiodati?” Perché con questi editoriali abbiamo cercato di essere il più possibile sinceri, castigatori, provocatori a fin di bene e quando ci siamo riusciti, è stato grazie al dialogo con voi non certo grazie ai comunicati stampa. Nel frattempo abbiamo avuto qualche secondo per stuzzicare gli illustri intervenuti “Soprattutto in questo momento, nel mercato sopravvissuto, quanto è importante il prezzo rispetto a tutti gli altri fattori di vendita, marchio, qualità, finanziamento, rivedibilità, post-vendita…?” Ne abbiamo ottenuto una diplomatica, ma articolata difesa forse d’ufficio del fattore brand. Crediamo che sovente non sia così, per tutti i segmenti di imbarcazioni, compresi grandi yacht e questo deve far riflettere sul decantato, ma non sempre salvifico fattore made in Italy, qualità e così via. Tuttavia dobbiamo sottolineare onestamente, anche per esperienza personale, che ci sono alcune barche che hanno mercato anche quando sembra impensabile. Esistono degli evergreen della nautica, delle nicchie magari sofferenti, ma che suscitano l’interesse del mercato, oggi, nel momento stesso in cui scriviamo. Scriveteci la vostra personale lista di “barche rifugio”: sarà interessante, forse sorprendente, sicuramente educativo commentarle insieme.
Primo: quando la forma è sostanza. Si è parlato automaticamente in inglese e per dare una nota internazionale al tutto c’era un moderatore anglosassone, pur autorevolissimo. Dopo aver tanto insistito sull’italianità del settore che si fa però “comandare”, normare, patentare, classificare (sintetizziamo) dagli altri, non sembra coerente. Incancellabile senso di inferiorità? Eccesso di gentilezza? Scontiamo ancora l’8 settembre e la resa a Malta?
Secondo. Complimenti a Ferragamo per aver sottolineato e riportato la questione sulla centralità del Mediterraneo. Attenzione a delocalizzare la produzione e anche la fruizione. Cerchiamo di praticare una politica a lungo termine, pena l’annientamento nel giro di una generazione. Portiamo i clienti qui -molti già vengono- per farsi costruire le barche, e non lasciamoli scappare. Facciamo una vera e logica politica di turismo nautico e di attrattività più generale della nazione: altro che auspicare infrastrutture per i cinesi in Cina. Questa è la ricetta per la nautica, applicabile anche a molti altri settori, all’Italia, all’Europa, al Mediterraneo. Quando nel giro di qualche anno i paesi “emersi” avranno imparato i fondamentali, avranno creato un’industria nautica locale a nostre spese, avranno porti e infrastrutture importanti, resteremo alla periferia dell’impero. Aggiungiamo: allora sapremo anche chi “ringraziare”, ma sarà troppo tardi se già non lo fosse.
Terzo. Premio alla battuta di Tacoli. Parlando di mercati esteri, gli hanno chiesto quanto il Gruppo Ferretti considerasse interessante e appetibile il mercato cinese: “La ringrazio –ha risposto- di non avermi chiesto il contrario”. Very British!