Il presidente di Ucina Albertoni ha incontrato in aprile tutti i principali direttori di periodici di settore. L’incontro è stato assolutamente franco e informale perché la seria situazione non permette altro tipo di approccio.
Partiamo dalle conclusioni: lo sforzo di Ucina e di tutti noi è stato, ma deve essere teso ancor più a dimostrare al Governo e alla Nazione che non dobbiamo essere considerati un settore sacrificabile. Sacrificabile all’opinione pubblica, di fronte ai sacrifici imposti e futuri, che a torto e a ragione vuole la nautica nel suo insieme un paradiso di faccendieri, evasori, ma soprattutto comunque “ricchi” finti o veri, anche borghesi per piccoli che siano, da colpire in modo maoista perché per di più scenografico. Questa spettacolarizzazione e sistematica pratica degli accertamenti, paralizza tutto il mercato, anche e soprattutto quello di piccole e medie imbarcazioni, anche l’usato, perfino i gommoni.
Mai che si pensi alla nautica come ad un qualsiasi settore, che dà lavoro a centomila persone, crea indotto, esporta-esportava moltissimo, era un simbolo della qualità e del made in Italy nel mondo. Non basta, troppo poco. Purtroppo siamo una pulce, siamo pochi rispetto alla moda, all’alimentare, all’artigianato per non dire ad altri comparti industriali “classici”. Possiamo scomparire senza ripercussioni mediatiche, sindacali, sociali. Perché -lo ripetiamo- quello che non ha fatto la crisi e tutte le crisi del dopoguerra, la paura del comunismo, il mondo finanziario e il diavolo, lo stanno portando a termine da Roma, con opere e omissioni, da sempre. Però mai come ora e nel momento più nefasto. Contro un settore che non aveva mai chiesto nulla, forse proprio per questo.
Allora facciamo un passo indietro alla comunicazione. L’uomo della strada non sa nulla di noi, utenti e operatori. Tutto quello che eventualmente ricorda è qualche servizio in occasione del Salone di Genova e copertina vista in edicola. Oppure barche di sfondo a paparazzate sui giornali di gossip, con tanto di soubrette e mantenute di ogni sorta. Cosa avrà pensato? Ve lo diciamo noi anche perché non riusciamo a non pensarlo talvolta: “ma guarda ste facce di … andassero a lavorare in miniera”. Stiamo parlando di un vizio antico della stampa di settore e non: sottolineare e puntare sempre sull’”esclusivo”, il lusso, il potente, l’attore o il rampante di turno. Il grande yacht come oggetto titanico e pieno di raccapriccianti e inutili capricci, non come fonte di lavoro per migliaia di operai, aziende, professionisti e artigiani nel progettarlo, costruirlo, nel “mantenerlo”.
L’intervista poi all’imprenditore della nautica, azzimato e incensato. Mai che si parlasse di una nautica normale, di porti a secco, di un progetto di turismo nautico per l’Italia per noi e per gli stranieri, con creazione di ricchezza e di gettito infinitamente superiore al pochissimo che si recupera da scellerate operazioni di polizia. Di una politica per una fruizione accessibile, sull’esempio di Francia e Inghilterra, senza isterismi di sfoggio e di persecuzione.
Con un’impostazione del genere, per decenni, come facciamo a spiegare all’uomo qualunque e alla politica che siamo come tutti gli altri, anzi un alfiere positivo dell’Italia nel mondo? Attori virtuosi nella bilancia commerciale? Artigiani-artisti ancora non copiabili all’estero?
Paradossalmente viviamo nel periodo storico che più esalta e premia qualsiasi minoranza per aberrante che sia. Possibile che solo noi dobbiamo essere destinati all’estinzione? Se gli allevatori bloccano le autostrade, noi blocchiamo i porti, troviamo un resinatore cassintegrato che si incateni appeso alla Lanterna di Genova, uniamoci tutti in un “Nautica Pride” sul Tevere.
Ci si conceda: se è pur necessario mangiare, dormire, vestirsi e possedere un’auto anche NAVIGARE NECESSE EST.
Edoardo Napodano