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Diario (blog)

VOTATI AL CHARTER?

EDITORIALE NAUTECH SETT 2011

di Edoardo Napodano 

Viviamo l’era del charter, del noleggio, gestione, affitto, addirittura della multiproprietà in versione marittima, comunque li si voglia e debba chiamare.

In un  periodo in cui ci chiediamo chi possa, ma soprattutto –non è una sfumatura- voglia, armare un panfilo. Parliamo di yacht dalle dimensioni impegnative, un tempo rari e che nessun armatore, senza esagerare, nemmeno 30 o 40 anni fa si sarebbe mai sognato di affittare. Per questo venivano immaginati, progettati, costruiti e utilizzati nel modo più privato. Da almeno due decenni e sempre di più, invece lo yacht ha una doppia o unica vita “pubblica”.

Il costo di manutenzione ed esercizio si è fatto negli anni enormemente gravoso in proporzione; il problema di trovare ormeggi adatti e gradevoli; la rincorsa al gigantismo; la difficoltà titanica di reclutare un buon comandante e un equipaggio decente; la protervia di cantieri, tecnici e artigiani; una catena destabilizzante di “creste”; agenti del fisco che nel mondo nautico occidentale stanno facendo più danni del bolscevismo e perfino dell’economia, hanno smantellato sistematicamente i dubbi di chi malgrado tutto consideri necessario possedere uno yacht nominalmente o con le società meglio congegnate, portandolo a condividere il bene con terzi, a pagamento (quando non di rado ad affittarlo semplicemente a sé stessi). Se non a coprire parte delle spese, almeno a salvargli la coscienza, ammantando il tutto di “ottimizzazione dei costi”.

Questa è la moda e probabilmente il futuro della nautica di importanti dimensioni e anche meno importanti.

Detto questo, dobbiamo evidenziare che esistono società-aziende che armano e charterizzano grandi navi da diporto, di mestiere, creando una vera e propria industria del charter. Un esempio formidabile, su dimensioni medie, lo ha il mercato dei caicchi di lusso in Turchia: una “specializzazione” geografica di successo con barche economiche che hanno sempre mercato e richiesta da parte dei clienti.

Lo yacht ha poco valore se non charterizzabile. Questo può significare non solo la bandiera giusta, ma anche il numero di cabine (che sia il massimo possibile consentito dalle normative…), la sapiente suddivisione degli spazi, il grado di privacy assicurata agli ospiti con una progettazione attenta ai compromessi, le cucine e cantine attrezzate per ricevimenti affollati, la quantità di personale imbarcabile, la facilità generale di gestione, manutenzione  e l’economicità di esercizio. Poi tutta una serie di comodità imprescindibili (aria condizionata, piscine e vasche varie, impianti sofisticatissimi di entertainment, eliporto oltre certe metrature…), a seconda della dimensione, che il buon progettista deve tenere in gran conto. Come non potrà dimenticare il plusvalore determinato da “specialità” più o meno eclatanti come plance e darsene interne ed esterne, palestre, svariati tender con relativi alloggiamenti e “giocattoli”  geniali o raccapriccianti, dal minisommergibile alla balconata che si apre sulle paratie di alcune cabine, giardini e vetrate degne del Louvre. Auguriamoci che la recente ventata di understatement, riporti una certa sobrietà e soprattutto marinità ed ergonomia dei mezzi. Anche se temiamo nuove stranezze per attirare i sempre meno colti armatori –nauticamente of course- dei paesi “emersi” più che emergenti, su cui tanto facciamo affidamento per le sorti della nautica.

Tutto ciò determina anche un interessante circuito di refitting di unità “storiche” o quantomeno antiquate per questi parametri, di cui certamente deve approfittare il progettista, possibilmente alimentando la cantieristica nazionale che avrebbe –avrebbe- tutte le caratteristiche per primeggiare tra Baleari, Costa Azzurra, Turchia e Malta: l’importante è volerlo e non, avere aiuti, ma unicamente mancanza di ostacoli dalle burocrazie e dalla politica: la grande, piccola richiesta della nautica in Italia da sempre e soprattutto oggi.

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